Testimonianze verdiane
Numerose sono le testimonianze dell’affetto e della gratitudine di Verdi nei confronti di Barezzi; Ne riportiamo alcune, a partire dalla dedica del Macbeth al suocero:
“Da molto tempo era nei miei pensieri d’intitolare un’opera a Lei che m’è stato e padre, e benefattore, ed amico […] Ora eccole questo Macbeth che io amo a preferenza delle altre mie opere e che quindi stimo più degno d’essere presentato a Lei. Il cuore l’offre: l’accetti il cuore, e le sia testimonianza della memoria eterna, della gratitudine, e dell’affetto che le porta il suo aff.
G. Verdi”
(Milano, 25 marzo 1847)
I riferimenti documentari ai rapporti con il Barezzi si fanno più numerosi all’approssimarsi della sua morte, avvenuta a Busseto il 21 luglio del 1867.
Così il Maestro scrive al senatore Giuseppe Piroli:
“[…] Il Sig. Antonio è ammalato da molto tempo, ma ora lo è ben gravemente. Povero il mio Sig. Antonio, che mi ha voluto tanto bene, e se vedeste con quanta affezione mi guarda ora!! Mi strazia il cuore […]”
(S. Agata, 24 giugno 1867)
Giuseppe Verdie poi alla contessa Clara Maffei:
“[…] Oh questa perdita mi sarà estremamente dolorosa! […] Povero vecchio che m’ha voluto tanto bene!! E povero me che per poco ancora e poi nol vedrò più!!!
Voi sapete che a Lui devo tutto, tutto, tutto. E a lui solo, non ad altri come l’han voluto far credere. Mi par di vederlo ancora (e son ben molti anni) quando io finiti i miei studi nel ginnasio di Busseto mio padre mi dichiarò che non avrebbe potuto mantenermi nell’Università di Parma e mi decidessi di ritornare nel mio villaggio natio. Questo buon vecchio saputo questo, mi disse: tu sei nato a qualche cosa di meglio, e non sei fatto per vendere il sale e lavorare la terra. Domanda a codesto Monte di Pietà una magra pensione di 25 franchi al mese per quattro anni, ed io farò il resto; andrai al Conservatorio di Milano e, quando lo potrai mi restituirai il denaro speso per te. Così fu! Vedete quanta generosità, quanto cuore, e quanta virtù. Io ne ho ben conosciuto degli uomini ma giammai uno migliore! Egli mi ha amato quanto i suoi figli, ed io l’ho amato quanto mio padre”.
(S. Agata, 30 giugno 1867)
e ancora, pochi giorni dopo la scomparsa del Barezzi, al conte Arrivabene:
“Il povero signor Antonio, il mio secondo padre, il mio benefattore, il mio amico, colui che m’ha amato tanto, non è più! La sua molta età non vale a mitigare il dolore che è per me grandissimo! Povero signor Antonio! Se vi è una seconda vita Egli vedrà se io l’ho amato e s’io son grato a quello che ha fatto per me. E’ morto nelle mie braccia ed ho la consolazione di non avergli mai dato un dispiacere.”
(Busseto, 25 luglio 1867)
Giuseppina StrepponiAnche nelle lettere di Giuseppina Strepponi, amata da Barezzi “quale figlia”, traviamo parole accorate per la sua scomparsa, come nella seguente lettera alla contessa Clara Maffei:
“E’ morto!… Morto nelle nostre braccia! Vale amatissimo Vecchio! Il nostro dolore, le nostre benedizioni, il nostro affetto ti seguiranno al di là della tomba! La memoria della tua bontà e del bene fatto a Verdi, si cancellerà, quando a nostra volta chiuderemo gli occhi!
L’ultima parola, l’ultimo sguardo fu per Verdi, per la sua povera moglie e per me! Non ti dico di più perché non ne ho la forza! Piangi con noi e prega pace all’anima di quest’uomo che abbiamo tanto, ma tanto amato! […]”
(S.Agata, 22 luglio 1867)
Alle testimonianze documentate dalle lettere aggiungiamo una tradizione di Casa Barezzi che ricorda come il Maestro consolasse le ultime ore del signor Antonio: nel Salone Verdi suona al piano le note del Va Pensiero e di là Barezzi morente sussurra: “Al me Verdi, al me Verdi”. Il mio Verdi, il mio Verdi.
creato: | venerdì 31 luglio 2009 |
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modificato: | lunedì 15 febbraio 2010 |